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Green Pass è Molto Pericoloso

Green Pass è Molto Pericoloso

Controllo Cinese: Identità e digitalizzazione vanno ormai a pari passo. L’”online” è sempre di più parte integrante delle nostre vite, dai social a servizi fino ad arrivare all’identità digitale. Secondo l’Agid, infatti, nel giro di un anno (giugno 2020-settembre 2021) si è passati da 8 a 24 milioni di SPID emesse. Ma cosa ha a che fare il Green Pass con tutto questo?

Il QR Code nella vita di tutti i giorni è illegale
Sono milioni gli italiani in possesso del Green Pass e, nostro malgrado, è ormai diventato una realtà per lo svolgimento della vita quotidiana e lavorativa di molti. La tecnologia QR code è molto utilizzata per la lettura tramite smartphone e non è altro che un codice a barre di due dimensioni composto da sezioni nere e bianche il cui scopo è memorizzare informazioni fino ad un massimo di 7.089 caratteri numerici in una sola volta. La sua adozione ha avuto un vero e proprio boom negli ultimi due anni a causa della pandemia e il rischio è quello di veder confluire sempre di più i nostri dati dati personali e finanziari in questo strumento tecnologico, con tutte le conseguenze del caso.

Da certificato vaccinale a portafoglio digitale il passo è davvero breve.
L’Unione europea preme per l’identità digitale sin dal 2014 e mira a far sì che l’80% dei cittadini ne disponga entro il 2030. Oltre alla road map già presente sui siti istituzionali, dove si può trovare una precisa programmazione a breve termine e dove si prevedeva l’instaurazione di quello che oggi chiamiamo appunto “Green Pass” già nel 2018, maggiori dettagli ci arrivano dall’evento di Task Force Italia e Digital Policy Council, in cui Roberto Viola, capo della Direzione Generale di Comunicazione, Reti, Contenuto e Tecnologia della Commissione europea (DG Connect), ha parlato di come la digitalizzazione stia cambiando l’UE. «I cittadini hanno già in tasca una forma di identità digitale: il green pass», ha spiegato Viola, che è anche la mente dietro al passaporto sanitario europeo.

Ma l’UE vuole andare oltre. Per Viola il successore del Green Pass sarà un intero portafoglio di attributi digitali. Qualsiasi documento, dalla patente di guida al titolo di studio, potranno essere condivisi per autenticarsi e consentiranno, per esempio, di firmare un contratto. La proposta della Commissione dello scorso giugno va, appunto, in questa direzione. «In sostanza si tratterà di un “Mega Green Pass”», ha riassunto Viola.

Come vengono gestiti i dati
Antonio De Palmas, vicepresidente della sezione Global Market Development Public Sector di Microsoft, spiega che «Guardando al di là delle aziende, l’orizzonte è nazionale e si discute di sovranità nazionale del cloud, dato che le autorità vogliono ritenere il controllo dei dati di loro spettanza.» Viola ha poi ricordato che in Europa un’azienda che acquista servizi cloud può decidere dove localizzarli, e lo stesso vale per i dati personali. Per i governi il discorso è invece un altro: hanno il completo controllo di una “cloud fatto in casa” ma non possono imporre nessun tipo di organizzazione se ricorrono all’acquisto tramite gara pubblica.

Che fine fa la privacy dei cittadini
Ma non tutti sono d’accordo con questa strategia. La maggiore opposizione a simili misure si registra sul fronte dei partiti di stampo sovranista. Italexit con Paragone, ad esempio, non è mai stata d’accordo con l’adozione del Green Pass e ha sempre lottato per la sua abolizione. Ammesso e non concesso che una pandemia possa giustificare tale strumento, certo è che con la fine dello “stato d’emergenza” anche tutti i dati contenuti sulla piattaforma digitale che lo ospita dovrebbero essere distrutti.

Non è concepibile che si mantenga una simile infrastruttura fuori dell’ambito emergenziale, sarebbe infatti un clamoroso “Cavallo di Troia”, pronto per essere riutilizzato sotto altre forme da chi, come l’Europa, ha come obbiettivo il controllo totale della popolazione, sulla scia del modello cinese.

Abbiamo avuto solo pochi giorni fa un assaggio delle implicazioni derivanti dall’utilizzo totalitario della digitalizzazione. In Canada, infatti, Chrystia Freeland, Ministro delle finanze del Canada e membro del board del World Economic Forum, ha dichiarato pubblicamente che avrebbero utilizzato tutti gli strumenti a loro disposizione per reprimere i dissidenti del “Freedom Convoy“, congelando i conti correnti dei partecipanti e sospendendo le assicurazioni dei loro mezzi con un semplicissimo click. Con il green Pass in futuro, potranno bloccarti soldi in banca, assicurazione auto, limitare i tuoi spostamenti, non poter accedere a bar e ristoranti, non poter prendere aerei o treni, e tutto questo, magari perché ti sei dimenticato di pagare una multa in tempo utile. Ti piace?

Se non vogliamo cadere su un regime simile, bisogna lottare fino in fondo. Non chiedere il green pass e nemmeno farlo vedere a nessuno. Molte persone portano con loro questo strumento razzista nel loro smartphone, ignari che tutto questo… li porterà alla rovina.

Da Il paragone
Simone Azzurri

 

Non si può chiedere il Green Pass senza autorizzazione del Ministero

Non si può chiedere il Green Pass senza autorizzazione del Ministero

È l’avvocato Francesco Cinquemani a chiarire come sia illegale chiedere il green pass senza una specifica autorizzazione.

Molti baristi, ristoratori o titolari d’impresa, a causa d’una informazione fumosa, se non addirittura tendenziosa, sono convinti che i vari DCPM diano l’autorizzazione a chi abbia un’attività che preveda dei dipendenti, o una clientela, a verificare la validità del certificato vaccinale. Ma la realtà è ben diversa: senza una specifica autorizzazione, concessa dal Ministero della Salute, la richiesta di verifica del pass discriminatorio è illegale.

Di seguito la spiegazione del legale palermitano.

«Chi può controllare la Certificazione COVID-19 e il certificato di esonero o differimento?

Chiunque intenda procedere alla verifica del c.d. «green pass» (nonché dei certificati equipollenti ex art.3 comma VIII del Regolamento UE 953-2021, punto 3) deve rispettare, in quanto norma sovraordinata, la Costituzione e ogni regolamento UE, tra cui il regolamento generale sulla protezione dei dati numero 679 del 2016 (anche noto come GDPR).

Questi deve essere espressamente nominato dal Titolare del trattamento (Ministero della Salute) e deve osservare le seguenti disposizioni:

http://www.simoneazzurri.com

– art.29 GDPR (il responsabile del trattamento dei dati, o chiunque agisca sotto la sua autorità, e che abbia accesso ai dati personali, deve essere istruito dal titolare del trattamento);

– art.32 GDPR, paragrafo 4 (chiunque agisca sotto l’autorità del titolare e abbia accesso ai dati personali, non deve trattare tali dati se non è istruito in tal senso dal titolare del trattamento);

– art.39 GDPR (Il Data Protection Officer deve curare la sensibilizzazione e la formazione del personale che partecipa ai trattamenti e alle attività di controllo).

Quindi, il soggetto che intenda controllare la Certificazione COVID-19 deve:

– essere stato nominato Responsabile del trattamento dati dal Titolare del trattamento dati (Ministero della Salute);

– avere assolto all’obbligo di formarsi ex artt. 29, 32, 39 del GDPR.

– rilasciare l’informativa relativa al «quadro di fiducia» all’interno del quale si collocano le procedure per la verifica dei dati contenuti nel «green pass», indicando:

– i soggetti deputati al controllo delle certificazioni;

– le misure per assicurare la protezione dei dati personali sensibili contenuti nelle certificazioni (art.9 DL 52).

Ma secondo quanto stabilito dal DPCM firmato il 17 giugno 2021 dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, le figure autorizzate a controllare il certificato sono indicate all’art. 13 comma 2.”Alla verifica di cui al comma 1 sono deputati: a) i pubblici ufficiali nell’esercizio delle relative funzioni; b) il personale addetto ai servizi di controllo delle attività. di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi, iscritto nell’elenco di cui all’art. 3, comma 8, della legge 15 luglio 2009, n. 94; c) i soggetti titolari delle strutture ricettive e dei pubblici esercizi per l’accesso ai quali e’ prescritto il possesso di certificazione verde COVID-19, nonche’ i loro delegati; d) il proprietario o il legittimo detentore di luoghi o locali presso i quali si svolgono eventi e attivita’ per partecipare ai quali e’ prescritto il possesso di certificazione verde COVID-19, nonche’ i loro delegati; e) i vettori aerei, marittimi e terrestri, nonche’ i loro delegati; f) i gestori delle strutture che erogano prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali per l’accesso alle quali, in qualita’ di visitatori, sia prescritto il possesso di certificazione verde COVID-19, nonche’ i loro delegati. Al comma. 3. I soggetti delegati di cui alle lettere c), d), e) ed f) del comma 2 sono incaricati con atto formale recante le necessarie istruzioni sull’esercizio dell’attivita’ di verifica”.

Tale DPCM è stato modificato dal DPCM del 17 dicembre 2021 che sembra dettare condizioni ancora più stringenti, anche rispetto a quelle previste dal GDPR, in quanto l’art. 1, comma 7, lettera h) prevede che “Tutti i soggetti preposti alla verifica del possesso delle certificazioni verdi in corso di validità devono essere appositamente autorizzati dal titolare del trattamento, ai sensi degli articoli 29 e 32, paragrafo 4, del regolamento (UE) n. 2016/679 e 2-quaterdecies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e devono ricevere le necessarie istruzioni in merito al trattamento dei dati connesso all’attività di verifica”. Escludendo quindi qualunque possibilità che a emettere l’eventuale delega possa essere un Responsabile del trattamento dati anziché il Titolare stesso.

Alla luce dell’ultimo DPCM del 17 dicembre 2021 e della normativa nazionale (l’art. 9 comma 10 del D.L. 52 convertito in Legge 87/2021) ed europea vigente, la verifica del GP non è nelle competenze delle FdO (neanche dei NAS!), né delle ASL, né dei datori di lavoro e tanto meno dei ristoratori, trasportatori, medici, bidelli o altre figure!!

Pertanto, si invitano i titolari di attività commerciali, i datori di lavoro, nonché tutti coloro che sono stati indicati nel DPCM del 17 giugno 2021 a chiedere una formale autorizzazione al Ministero della Salute, al fine di non violare la legislazione vigente.

Scaricando l’allegato qui presente, questo potrà essere compilato e sottoscritto dall’interessato e inoltrato tramite PEC o raccomandata agli indirizzi indicati.

Nel tempo che intercorrerà dall’avvenuta notifica della richiesta, al rilascio della formale autorizzazione da parte del Ministero della salute, i soggetti in questione sono in regola con la normativa vigente e, non sono tenuti a chiedere l’esibizione del Green Pass.

La richiesta del green pass senza la suddetta autorizzazione rilasciata dal Ministero della Salute, pone il controllore ad essere segnalato dal cliente/dipendente al Garante Privacy, il quale emetterà una sanzione da 50 mila a 150 mila euro.

Avv. Francesco Cinquemani»

Quindi conviene scaricare, compilare, ed inviare mezzo raccomandata A/R o PEC, il modulo realizzato dall’avv. Francesco Cinquemani. E, fino a quando non sarà arrivata l’autorizzazione, nessuno potrà multare per il mancato controllo del pass vaccinale.

Scarica il modulo ► [MODULO]

http://www.andiamosulpersonale.com